- Categoria: Lapilli Salerno
- Scritto da Maria Serritiello
- Visite: 877
La “Grand'estate” di Enzo Moscato al Teatro Diana di Salerno
“Grand’estate” è piacevolmente il solito Enzo Moscato, quello che c’è di certo del suo teatro, con le lucine accese e spente a contornare la scena, i pochi ma significativi oggetti, di gusto particolare, sparsi nello spazio recitativo, i veli a rendere fluorescente tutto il racconto ed il fondale nero, su cui si disegnano siluette di corpi femminili, quasi non visibili, gola profonda del racconto convulso ed incalzante, a volte delirante, ma di una logica stringata, per chi segue il suo teatro e le sue tematiche, che, in questo caso, sono di un casino dei Quartieri Spagnoli di Napoli.
I fatti narrati risalgono all’epoca fascista e all’occupazione dell’Africa orientale, una sorta di “memento” di anni visti dalla parte delle prostitute, ovvero da vittime di uno sport nazionale, sempre seguito, ma che in questo periodo privilegiato. Gli anni vanno dal 1936 fino a fare capolino negli anni ’60, precisamente a quando per la legge Merlin, 20 febbraio 1958, furono abolite le case chiuse. Intanto in vari capitoli di narrazione, troviamo le parole affabulanti, per il loro magnifico suono cantilenante, deliranti ed ossessive, di alcuni personaggi, che in numero di due, interpretano di volta in volta, Sciuscetta, Poppina, Asor Viola, Lattarella, DDT, Fraulè, Doktor, contorniate da cinque figuranti vestiti da marinai, per il richiamo alla navigazione ed una narratrice. Compito di Poppina e Sciuscetta, che già nel suono dei loro nomi si scorge una vita a margine, è quello di mantenere alto il morale della soldataglia e dei gerarchi di stanza nel suolo d’Africa e per questo intraprendono un viaggio sgangherato, pieni d’insidie su di un barcone che le avrebbe condotte in quella terra lontana. Dal racconto pressante e farneticante si apprende la vita degradata e sviata delle prostitute, un’esistenza scandita dalla voglia di loschi personaggi, di ore di attese, di confidenze minime, di visite mediche, di abluzioni per mantenere lo standard al loro corpo, chiuse in un sacrario, vessate da maitresse e costrette a quella vita tutti i giorni, senza un minimo di affettività, per guadagnarsi la marchetta di sostentamento. Eppure quanta dignità umana possiedono “le signorine”, consegnatesi alla vita rassegnate, dall’ immorale povertà, ma non per questo senza codice d’onore, quello che manca alle escort attuali. Hanno pensato, in modo maldestro, che era quello e non altro il loro destino, diventando, così, più “paria” di quanto non lo fossero altre nelle loro stesse condizioni. Enzo Moscato dà loro voce, a mo’ di risarcimento, una pietas intellettiva, che rende giustizia e conoscenza e quello che aggiunge di kitsch o di troppo osato, lo fa per far mandare a mente un mondo, che sebbene esistito e forse esistente, nessuno se n’è mai occupato con l’anima. Nella sua pièce tanta memoria collettiva a rispolverare melanconicamente il passato, come la musica, una parte importante che, ogni volta, invade la scena, ora è L’Isola del tesoro, sceneggiato televisivo di Anton Giulio Maiano, con l’immancabile coro di “Quindici uomini, quindici uomini sulla cassa del morto…” oppure “Geppina ragazza di fumo” da Risate di gioia di Mario Monicelli, 1960, cantata dalla voce profonda e sensuale di Anna Magnani e da l’eccelso Totò. Ciò che affascina di più e sempre di Enzo Moscato, nei suoi originali spettacoli, è la parola, di cui lui è maestro. Partendo da Gian Battista Basile, segue intrecci ed architettura linguistica con una sua complessa struttura, sicché il linguaggio che ne deduce, e sì assecondato da Basile ma è rinnovato a suo piacimento. Tra le parole e i detti sciorinati “Marvizzo”, per indicare il tordo e “Salute a fibbia dicette don Fabio” per dire incuranza, sono citazioni tra le altre, che affollano il linguaggio del testo, ripescando dal profondo, dove si sono depositate, per essere in disuso, dato il linguaggio globale di cui si fa uso. E poi le parole mormorate fiatate a due e ripetute come in un eco immaginario e lo spettacolo s’imbuca in un coro da tragedia greca. E’ quello il suono e quello l’antico impianto culturale con i quali Enzo Moscato ci delizia ogni volta.
“Grand’estate” testo, regia e drammaturgia di Enzo Moscato.
Con Massimo Andrei ed Enzo Moscato
e con Giuseppe Affinito, Caterina Di Matteo, Gino Grossi, Francesco Moscato, Giancarlo Moscato.
Scena e costumi Tata Barbalato.
Musiche Donamos.
Maria Serritiello